di Grazia Candido (foto Antonio Sollazzo) – Le luci sono spente, in platea non è rimasto più nessuno, un fitto silenzio avvolge la scena e, su quel palco, resta un uomo solo con i suoi pensieri, le sue frustrazioni, le sue paure e l’infinito amore per il teatro nel quale ogni essere può avere tutto quello che immagina, se solo si crede in ciò che si vede.
Nello spettacolo “Io sono l’altro 2.0” che porta la firma del regista Antonello Capodici, penultimo appuntamento della rinomata kermesse CatonaTeatro, Enrico Guarneri e Salvo La Rosa, splendida coppia artistica ormai collaudata, ricostruiscono lo spaccato dello “show-biz” nostrano tirando fuori ipocrisie, “tic” sino ad arrivare alle tragicomiche avventure di Litterio.
Guarneri lasciato solo a teatro, un po’alticcio, pensa alla sua vita, alla sua carriera, a come sia possibile dimenticarsi del primo attore “una cosa inammissibile” ma come diceva il grande Eduardo De Filippo “ha da passà a nuttata”.
Per far capire la grandezza e la complessità di quel luogo d’arte che dona ai suoi artisti fama ma anche dolore, l’attore catanese si impelaga nel monologo di don Gesualdo Motta, uomo che ha costruito con fatica ed enormi sacrifici la propria fortuna e, perciò, consapevole della durezza di questo percorso, agisce sempre e soltanto in funzione del mantenimento della propria ricchezza. Ma, alla fine, “muore come un cane” prendendo coscienza dell’insensatezza della propria vita.
“Anche a teatro si torna insieme solo nella grassa risata o nell’applauso finale – postilla Guarneri – Mi vogliono sempre comico, dopo 40 anni di cui 30 di comicità, arriva la maturità artistica e anche anagrafica dell’attore che desidera interpretare la psiche umana, sviscerare le cose umane. Ho fatto tutto nella mia vita e ora, in questo teatro buio che fa paura, sono solo. Si racconta che, di notte, aleggiano i personaggi piccoli, quelli appena accennati dall’autore, personaggi che sembrano mai nati dalla penna e restano a vagare nel teatro come quelli del “Fantasma dell’opera” o “Sipari insanguinati””.
Tra le sue riflessioni irrompe Armando (l’attore Vincenzo Volo) “il suggeritore che non sa suggerire, usa i teatri come dormitori, non beve e non fuma” e Nuccia (Alessandra Falci) “un’attricetta che non sa recitare, scarsa, scarsissima” – la punzecchia Guarneri.
“Io sono portata per il teatro – ribatte Nuccia al suo maestro che la incalza subito scatenando tante risate in platea: “Sì certo, sei portata perché ti portano gli altri a teatro”.
Guarneri racconta uno spaccato che fa riflettere, duro, a volte molto triste quando ricorda i fischi che l’attore riceve ironizzando su tutto ciò che il pubblico scaglia sul palco: dalle scarpe, ai pomodorini, alle cipolle di Tropea, “agli ortaggi con i quali si fa spesso una caponatina”.
“Qui, nel posto delle illusioni, il teatro, il pubblico vuole ridere” ed ecco che, lasciato di nuovo solo, Enrico si addormenta su una poltrona e ritorna a vestire i panni del signor Litterio che ripercorre la sua vita insieme al compagno inseparabile Salvo La Rosa.
Da ora in poi, è difficile trattenere gli applausi, le risate, i pianti di gioia perché la coppia “Guarneri-La Rosa”, una calamita di sintonia, di bravura, di complicità, di eleganza sulla scena, crea simpatici siparietti, lasciando senza respiro il pubblico.
Litterio è preoccupato per suo cugino che vuole suicidarsi tagliandosi le vene con il rasoio elettrico ma “per morire ci vuole intelligenza, ecco lei non morirà mai” dice a La Rosa, per poi continuare il suo bizarro racconto con le avventure di “Orazio occhio bello”, di sua moglie Crocifissa, del nuovo sindaco “persona perbene che, finalmente, fa le cose giuste. Ti riceve dopo 8 mesi”.
E’ una sana ilarità, scandita dagli errori di Litterio nel coniugare i verbi e, puntualmente, corretto dall’ecclettico La Rosa, nel modificare il linguaggio moderno dandogli una sua personale interpretazione: “Eternit” invece di Internet, “Gogol” invece di Google, “Wazzapi tu, Wazzapo io”, “Manovale” al posto di manuale.
Ma in quella girandola di comicità, c’è una morale: la tecnologia è oggi importante per l’essere umano ma se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi.
Le luci del giorno, riportano alla realtà l’attore Guarneri che si sveglia da quell’incantevole sogno che lui definisce incubo e non vuole andare in albergo con i suoi colleghi perché “non c’è nessuno che lo aspetta, la mia famiglia siete voi. L’attore deve sempre recitare le battute come le ha pensate l’autore, mi ferisce sentire un dialogo dissacrato, fatto a pezzi ma sta a l’attore trovare il senso del testo, che gli dia grazia. Attenzione a non scendere mai di tono”.
Guardando il suo pubblico, tra gli sguardi compiaciuti dei suoi colleghi, Guarneri si tormenta con una domanda: “ma l’attore alla società è utile o no?”
CatonaTeatro risponde con i suoi lunghi applausi, ad un artista della parola e dell’interpretazione, ad un gruppo che in scena ha saputo regalare sogni e dolcezza a persone che non conoscono, che non hanno mai incontrato ma con le quali hanno un obiettivo comune: far capire che “il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.