di Anna Foti – Storie e leggende uniscono letteratura e tradizioni religiose nel segno di San Giorgio e dell’universale allegoria della lettura e della cultura che salvano dall’ignoranza. Un tassello di questo mosaico è rappresentato dalla città di Reggio Calabria che in San Giorgio riconosce il proprio Santo Patrono e nella sua iconografia più diffusa, che lo ritrae nell’atto di infilzare il drago e dunque di sconfiggere l’ignoranza.
Proprio questa immagine prediletta da storici e appassionati costituisce l’ispirazione della scelta, operata dall’Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura), di proclamare nel 1996 la giornata mondiale del Libro e del Diritto di Autore in coincidenza con la festività di San Giorgio.
Diverse le testimonianze di culto e gli aneddoti storici che impreziosiscono la sua figura versatile, largamente visitata dal mito e dalla leggenda. San Giorgio riconosce le origini del suo legame con la città di Reggio Calabria nell’anno 500 con l’arrivo dei Bizantini e nell’anno 1000 con l’arrivo dei Normanni.
Una credenza popolare colloca questo culto anche nel ragusano dove ha ancora cittadinanza una tradizionale orazione che Franco Arcidiaco ha tradotto per farne un omaggio ai reggini, quale contributo alla riscoperta di questo legame: “Giorgiu cavaleri,/vui a cavaddhu e eu a peri,/vui chi gghistu a livanti/e chi vinistu i punenti,/sta ‘razia m’aiti a fari/tempu nenti” (Storia ‘i San Giorgio cavaleri – Città del Sole edizioni 2016). Tutto è iniziato a Modica Alta grazie alle scoperta di una ristampa anastatica della Leggenda Aurea in dialetto ragusano, posta in rima irregolare dal poeta dialettale Nino Vasili nel 1892.
E così torniamo a Reggio. Una colorita coincidenza che il Santo protettore della città di Reggio Calabria sia anche associato alla forza della lettura e ad una missione di paladino della cultura. San Giorgio vanta ormai un pluricentenario rapporto con la città di Reggio Calabria e con la sua comunità devota alla Madonna della Consolazione, regina di tutti i Santi, oltre che al valoroso cavaliere. Martire cristiano, esso viene effigiato come un giovane soldato su un cavallo bianco e con una lancia (la cultura e le conoscenza) con cui affronta, infilza e sconfigge il drago (la protervia e l’ignoranza).
Le origini ed il significato del legame tra San Giorgio e il drago sono da ricondursi alla leggenda Aurea secondo la quale in una città libica chiamata Selem, in un grande stagno, viveva questa creatura mostruosa e pericolosa che uccideva chiunque si avvicinasse. Finite le pecore date in pasto al drago per imbonirlo, la popolazione fu costretta a tirare a sorte anche dei giovani fin quando non fu la volta della figlia del Re, la principessa Selene. Fu allora che il cavaliere Giorgio passò dallo stagno con la sua proposta di conversione: «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Selene riuscì ad avvolgere il collo del drago con la cintura e lo condusse in città dove il cavaliere Giorgio lo uccise, liberando il popolo dal terrore.
La leggenda si impreziosisce di un altro dettaglio laddove si narra che il cavaliere abbia colto la rosa nata dal sangue del drago sconfitto per farne dono alla principessa appena salvata. Ecco che la battaglia tra San Giorgio ed il drago viene interpretata nei secoli anche come la battaglia tra la cultura e l’ignoranza, con la sconfitta di quest’ultima.
La leggenda del coraggioso incontro con il drago si rafforza ai tempi della Crociate, al momento del rinvenimento di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, erroneamente interpretata, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano». Una leggenda poi anche ripresa nell’iconografia che ritrae nell’impresa di uccidere il drago anche San Demetrio e San Teodoro. Nel Medioevo la lotta tra San Giorgio ed il drago assurge a simbolo della lotta tra il bene ed il male, e la leggenda del cavaliere che sconfigge il drago attribuisce a San Giorgio l’epiteto di grande trionfatore in Occidente e nell’Oriente Bizantino, permeando di sé vari ordini cavallereschi.
La Giornata del Libro, pur coincidendo con la festa di San Giorgio per le suggestive interpretazioni della sua lotta contro il drago, avrebbe anche origini legate alla commemorazione della nascita, il 7 ottobre 1926, prima, e della morte di Miguel de Cervantes, poi. L’idea fu dello scrittore ed editore Vicent Clavel Andrés di Valencia che, proponendola alla Cámara Oficial del Libro della città, ottenne il 6 febbraio 1926 l’approvazione del Governo spagnolo, cui fece seguito il Real Decreto firmato da Alfonso XIII con cui venne istituita ufficialmente la “Festa del Libro Spagnolo”. Solo nel 1930 si decise di cambiare la data al 23 aprile, giorno della morte di Cervantes, scrittore e autorevole rappresentante della letteratura spagnola.
Un intreccio di storie, più o meno misteriose, al centro, dunque, della giornata del 23 aprile, in cui nel 1616 si fermò la penna, ma non l’eco di versi e parole, non solo di Miguel de Cervantes a Madrid. Anche William Shakespeare morì nello stesso giorno e nello stesso anno a Stratford-Upon-Avon, in Inghilterra. Entrambi i maestri risultano in un certo senso legati alla storia di Messina: il primo per l’ipotesi dibattuta, per alcuni una verità, secondo la quale il cigno di Avon sarebbe nato a Messina dove ha interamente ambientato la commedia “Much ado about nothing” (“Troppo rumore per nulla”) datata tra il 1599 ed il 1600; il secondo perché invece con certezza trascorse a Messina alcuni mesi di convalescenza dopo la storica battaglia navale di Lepanto, alla quale aveva partecipato con la flotta di don Juan de Austria, Don Giovanni d’Austria, salpata proprio da Messina nel 1571. Sulla riva siciliana dello Stretto, Cervantes ha scritto “Le novelle esemplari” (“Novelas ejemplares”), pubblicate nel 1613. Il 23 aprile, nel calendario Gregoriano, si festeggia anche San Giorgio, patrono di Reggio Calabria, come di altri due capoluoghi di provincia (Ragusa e Ferrara), del capoluogo d regione Campobasso, di altri venti comuni in tutta Italia. San Giorgio, protettore invocato in diversi paesi europei come il Portogallo, l’Inghilterra, la Germania, la Russia.
Dunque, oggi 23 aprile, in oltre 80 paesi del mondo, tra cui l’Italia, si festeggia la Giornata del Libro, tranne in Gran Bretagna e Irlanda in cui si festeggia il 14 marzo. La scelta di questo giorno per celebrare la cultura e il suo privilegiato viatico della lettura richiama alla memoria il giorno in cui il mondo raccolse l’eredità di grandi scrittori come il drammaturgo inglese William Shakespeare e lo scrittore spagnolo Miguel De Cervantes, entrambi scomparsi il 23 aprile 1616, e come lo scrittore catalano Josep Pla, deceduto il 23 aprile del 1981. Una curiosa coincidenza che assurge a momento universale di sensibilizzazione alla lettura e ai libri, bussole che orientano le vele della curiosità nei mari della conoscenza.
A questa coincidenza si deve anche la peculiare tradizione nel cuore dell’Europa in cui ogni anno, il 23 aprile, è festa per la lettura e i lettori. Si tratta della curiosa e originale usanza, ispirata alla leggenda di San Giorgio, della principessa Selene e del drago, che da oltre settant’anni anima le strade della Catalogna in cui nel giorno del patrono Sant Jordi gli uomini regalano alle donne una rosa e le donne ricambiano con un libro. Barcellona, ad esempio, è cornice particolarmente rappresentativa di questa tradizione con la Rambla che si accende di colori, sorrisi, profumi, rose, libri d’autore e d’artista. Barcellona fu, per altro, molto cara a Miguel De Cervantes, al punto da essere elogiata nella sua più celebre opera “Don Chisciotte della Mancia”, dove è sfondo alla visita del protagonista ad una tipografia.
Miguel, quarto di sette figli, non godette di agiatezze economiche e fu costretto a frequenti spostamenti in Italia, dove si recò per evitare la condanna al taglio della mano destra e a dieci anni d’esilio perché accusato di aver ferito un certo Antonio de Segura. Prima cortigiano, poi soldato sulla galea Marquesa, Miguel De Cervantes fu componente della flotta della Lega Santa che, salpata da Messina, sotto la guida di Don Giovanni d’Austria, vinse la battaglia di Lepanto contro gli Ottomani nell’ottobre del 1571. In battaglia rimane ferito, perse l’uso della mano sinistra e trovò ricovero presso quella che oggi è la chiesa di Santa Maria Alemanna, sopravvissuta al rovinoso terremoto del 1908, a Messina. Qui scrisse le “Novelas ejemplares” (“Le novelle esemplari”) pubblicate nel 1613, comprendenti 12 variegate novelle tra cui El celoso estremeño, La gitanilla, La illustre fregona, La fuerza de sangre, La española inglesa, Rinconete y Cortadillo, El casamento engañoso, El licenciado Vidriera, El coloquio de los perros.
Imprigionato ad Algeri. In quei lunghi anni di prigionia conobbe il poeta italiano, che scrisse prevalentemente in siciliano, Antonio Veneziano, di cui divenne amico e che nel 1579 gli dedicò un’epistola in dodici ottave, di cui quasi settanta versi vennero poi reinseriti nella commedia El trato de Argel che narra della prigionia in Algeri. Un’amicizia rievocata da Cevantes anche nella novella El amante liberal in cui si narra di un prigioniero siciliano capace di esaltare nel ricordo la sua donna (probabilmente Celia, l’opera più famosa di Veneziano).
Liberato dalla famiglia, Cervantes ritornò in Spagna dove le difficoltà non erano terminate. Nel 1606 si trasferì a Madrid, dove in pochi anni scrisse gran parte della sua produzione letteraria. Ogni opera si nutre di tratti rinascimentali e di stile barocco, permeandosi di quel sogno che il mondo ha per lui rappresentato, seppur carico di avversità. Nella sua produzione si coglie il desiderio di condizioni esistenziali diverse in cui l’uomo, libero dai rapporti sociali ingessati, sia anche libero di realizzare la propria individualità. Don Chisciotte, il folle idealista ed errante cavaliere mancego, e Sancho, il suo realista scudiero, divengono universali espressioni, profondamente diverse, di questa esigenza di autodeterminazione e libertà, cantati anche dal musicista emiliano Francesco Guccini. “Il potere è l’immondizia della storia degli umani e, anche se siamo soltanto due romantici rottami, sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte: siamo i “Grandi della Mancha”, Sancho Panza… e Don Chisciotte!”
Anche la Calabria ha un suo ponte di cultura e memoria con la Spagna tracciato dal grande poeta spagnolo Garcilaso de La Vega, nel 1536 Governatore militare di Reggio, e dal prezioso sacrificio di molti antifascisti calabresi alla Guerra civile spagnola, prima del Secondo conflitto mondiale.
Il 23 aprile 1616 muore anche il poeta universale William Shakespeare. Capace di rendere l’irriducibilità dell’animo con i suoi versi e di espanderne lo spirito oltre il tempo e lo spazio, William Shakespeare, amato dal popolo inglese e apprezzato alla corte di Elisabetta I, è oggi lo scrittore più letto di tutti i tempi. Trentotto opere teatrali, 154 sonetti e svariati poemi rappresentano il patrimonio tradotto nelle maggiori lingue e inscenato in tutto il mondo. Il poeta maggiormente rappresentativo del popolo inglese fu soprannominato il Cigno di Avon – “The Swan of Avon”, in onore del fiume Avon che scorre nel suo luogo di nascita Stratford-upon-Avon, nella contea del Warwickshire, nell’Inghilterra Centrale. Marito di Anne Hathaway e padre di Susannah, Hamnet e Judith, William Shakespeare ancora oggi possiede un’identità avvolta nel mistero. Ebbe un impareggiabile talento di scrittore, fu abile nel coniugare la cultura popolare con la poetica moderna, nel vivere i personaggi di cui fu affabulatore e anima. Discussa è la cronologia delle sue opere e la paternità di alcune di esse. Vissuto nell’Inghilterra di Elisabetta I e Giacomo I, la sua vita si snodò tra il 23 aprile del 1564 ed il 23 aprile del 1616.
Mancano documenti sulla vita del poeta tra il 1585 ed il 1592, anno in cui vi sono le prime tracce delle rappresentazioni teatrali. Non si sa per quali compagnie teatrali Shakespeare scrisse le prime opere. Costruito con il legno del The Theatre, il Globe Theatre fu aperto nel 1599; qui tra le prime opere vennero rappresentati Giulio Cesare, Amleto, Otello e Re Lear.
Il contributo di Shakespeare alla cultura occidentale, che la sua impronta ha reso universale, non fu solo costituita dagli scritti ma anche dalla partecipazione attiva alla vita culturale ed il suo contributo alla creazione di realtà teatrali come la compagnia di “The Lord Chamberlain’s men”, di cui forse fu anche attore e della cui creazione vi è traccia nel 1594. Molti sono i dubbi che circondano diversi aspetti della sua vita e la sua identità; dubbi che lasciano intatta un’eredità di commedie, tragedie, sonetti e drammi storici in cui l’umanità di ogni epoca dimostra di riconoscersi. Ogni titolo evoca un’emozione differente dall’amore contrastato di “Romeo e Giulietta”, alla guerra tra profezie e inganni di “Macbeth”, dai tradimenti e dalla fedeltà di “Re Lear” all’infelicità struggente di “Amleto” e alla gelosia dirompente di “Otello”. E accanto alle tragedia, le commedie: il gioco di identità de “La dodicesima notte”, l’amore incantato di “Sogno di una notte di mezza estate”, l’intreccio di arti magiche de “La tempesta” e la sfida del fato de “Il mercante di Venezia”. Poi i drammi storici intitolati a Riccardo ed Enrico, oltre i meditabondi sonetti, opera autobiografica. Vi sono anche un gruppo di opere in cerca di autore raggruppate nel ciclo apocrifo e ve ne sono due andate perdute “Pene di amore vinte” e “Cardenio”, per altro personaggio del Don Chisciotte di Cervantes.
Non mancano i misteri e gli enigmi su cui nei secoli il mondo letterario, e non solo, si è interrogato. Dal luogo della sua nascita all’attribuzione delle sue opere, secondo alcuni scritte da un altro autore o addirittura un gruppo di autori, ossia cui Francis Bacon, Christopher Marlowe (coetaneo con cui si contese la scena teatrale cinquecentesca), Robert Devereux, William Stanley, Edward de Vere e John Florio. Quest’ultimo potrebbe coincidere con un parente o con lui stesso, Michelangelo Florio, il nome autentico dell’amato poeta di tutti i tempi che sarebbe nato nella Messina degli spagnoli assediata dall’Inquisizione e per poi trasferirsi in Inghilterra dove vivevano dei cugini. Insomma un’altra vita, un’altra biografia.
Già nel 2000 il quotidiano inglese “The times” aveva dedicato un articolo a questa ipotesi su cui, in Sicilia, qualcuno stava studiando. La mancanza di notizie biografiche su Shakespeare, quei famosi anni perduti (“lost years”) dibattuti dal XVIII secolo hanno impegnato a lungo il giornalista e scrittore, professore di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo in pensione, Martino Iuvara, originario di Ustica. L’esito della sua ricerca è contenuta nel saggio “Shakespeare era italiano” (edito da Kromatografica di Ispica – RG – 2002).
Secondo questa ricerca il nome del cigno di Avon sarebbe stato mutato in “William Shakespeare”, laddove il nome ed il cognome sarebbero la traduzione del nome materno Guglielma e la traduzione maccheronica e letterale del cognome materno Crollalanza, ossia “shake/scrollare” e “speare/lancia”. Michelangelo Florio infatti sarebbe stato figlio di un medico Giovanni Florio e della nobildonna Guglielma Crollalanza, calvinisti invisi agli spagnoli e per questo emigrati prima al nord Italia e poi in Europa. Secondo alcuni deporrebbe a favore di questa ipotesi, oltre alcuni vuoti biografici mai colmati, anche l’ambientazione della commedia “Much ado about nothing” a Messina con i personaggi realmente vissuti a Messina tra i quali don Pedro d’Aragona, amico di Leonato, governatore di Messina, e don Juan d’Austria; lascerebbero propendere verso questa ipostesi anche l’ambientazione di molte altre opere di Shakespeare in Italia, la sua sconfinata cultura classica, il suo presunto accento straniero percepito in Inghilterra.
Più recentemente una ricerca condotta dal professore John Richmond dell’Università di Southampton, esperto in storia della letteratura e della filosofia contemporanea, avrebbe confermato questa ipotesi.
Polonio: “Che cosa state leggendo, mio signore?”
Amleto: “Parole, parole, parole”.
E se Shakespeare, chiunque egli sia stato e dovunque sia nato, non avesse scritto le sue parole, il mondo avrebbe perso una tra le voci più eminenti e alcun uomo avrebbe fermato con inchiostro su carta, e con versi imperituri nei secoli, la profondità dell’Animo e dell’Umano e il tormento dell’Amore.