“Dalle attività di captazione si evince, in maniera inequivocabile, come il soggetto investito da Francesco Zindato dei compiti di direzione della cosca e perpetuazione del programma associativo fosse il sodale Demetrio Sonsogno detto “Tatù”, soggetto che godeva della totale fiducia del boss e che era depositario di tutti indettagli inerenti i suoi traffici e affari. Sul punto Zindato era perentorio nell’imporre alla moglie la presenza del Sonsogno, nonostante la Tchorzewska – che lo riteneva responsabile di aver favorito la relazione extraconiugale del marito, nel frattempo scoperta – non volesse avere a che fare con lui (…) Riassumendo – la “delega di funzioni” attribuita da Zindato Francesco a Sonsogno era pressoché totale e aveva ad oggetto: la cura degli interessi della cosca, l’esecuzione delle estorsioni e la riscossione dei relativi proventi, la supervisione sulla moglie Tchorzewska Malgorzata”. Questo è quanto hanno scritto i giudici del Tribunale reggino, Fiorentini presidente con Armaleo e Castriota a latere, nelle motivazioni con cui lo scorso 3 aprile hanno inflitto 17 anni e 6 mesi a Demetrio Sonsogno, alias “Mico Tatoo” ritenuto il reggente della ‘ndrina egemone nei quartieri di Modena-Ciccarello e San Giorgio Extra. Quattro anni e 4 mesi invece sono stati disposti per il coimputato Antonino Labate. Il processo “Tatoo” è scaturito dall’inchiesta coordinata dal pm antimafia Stefano Musolino e dalla Squadra Mobile della Questura e prende il nome proprio dall’alias cui era conosciuto il principale imputato. L’inchiesta ha colpito la ‘ndrangheta dei rioni San Giorgio Extra e Ciccarello, regni delle famiglie Borghetto, Zindato e Caridi, a loro volta federate alla potente cosca Libri,attiva nel quartiere di Cannavò. Cosche già duramente punite all’esito dei processi “Alta tensione 1 e 2”. Per la Dda, Sonsogno avrebbe preso le redini del clan dopo l’arresto del capofamiglia Francesco “Checco” Zindato. Nelle motivazioni della sentenza, scritta dal giudice Mattia Fiorentini, ciò emerge a caratteri cubitali. «Sonsogno -è scritto- aveva accettato l’investitura ed esercitava costantemente le veci del boss recluso (Zindato Francesco: Ma, se quello… lui è solo ormai… non ci sono io deve fare per tremila…), mettendosi a disposizione e supervisionando ogni questione anche sentimentale, come quella inerente la gestione degli effetti della sua relazione extraconiugale, scoperta dalla Tchorzewska che lo riguardasse, con ampia soddisfazione espressa dal boss Zindato per l’operato del sodale (Zindato Francesco: Anzi, se fossero tutti come Mico!). Una leadership che emergerebbe chiaramente dalle intercettazioni ambientali: “Perché è l’unico che sa le mie cose ed è l’unico che mi deve fare tutte le mie cose” dice in un colloquio con la moglie Zindato. Sonsogno sarebbe stato anche in possesso di un promemoria sul quale sarebbero stati riportati gli affari illeciti: “Mico ha un foglio con un promemoria” dice ancora facendo riferimento a un foglietto che Checco avrebbe ingoiato poco prima di essere arrestato.« Nel caso di specie, è emerso -scrivono i giudici- come il Sonsogno si attenesse espressamente ai dettagliati dettami che i fratelli Zindato (in special modo Francesco) gli facevano pervenire dal carcere attraverso le mogli e i “pizzini” predisposti ad hoc. In altre parole, se è vero che l’operato del Sonsogno era da considerarsi infungibile, ciò derivava proprio dal fatto che lui solo aveva ricevuto tutte le istruzioni da parte del boss detenuto,direttive nell’ambito delle quali non aveva (né risulta abbia esercitato) margini di discrezionalità». Angela Panzera