di Claudio Cordova – Gravi, gravissime le frasi pronunciate al telefono dal magistrato di Palmi Giancarlo Giusti, intercettato con il boss della ‘ndrangheta milanese Giulio Lampada.
Frasi in cui il giudice confessa, candidamente: “Dovevo fare il mafioso, non il giudice”. Giusti è indagato a piede libero dalla Dda di Milano per corruzione: sarebbe stato “omaggiato” dalla ‘ndrangheta di viaggi spesati e di donne, tante donne. Prostitute di nazionalità straniera portate nella stanza d’albergo dove alloggiava il magistrato, ovviamente pagata dalle cosche: donne, dell’est, della Repubblica Ceca, della Slovenia, russe. Ed è proprio in una conversazione intercettata con Lampada che i magistrati scoprono la filosofia di pensiero del magistrato, che rassicura il proprio interlocutore sulla possibilità che trapeli qualcosa di tali vicende: “Tu ancora non hai capito chi sono io… sono una tomba, peggio di.. ma io dovevo fare il mafioso, non il Giudice…”.
Nei colloqui tra Lampada e Giusti un riferimento anche a Enzo Giglio, il presidente della Sezione Misure di Prevenzione e della Corte d’Assise di Reggio Calabria, arrestato con l’accusa di corruzione e favoreggiamento personale aggravato dalle modalità mafiose. Giglio, infatti, avrebbe informato, addirittura con un fax, alcuni degli indagati dell’assenza di indagini sul loro conto presso gli uffici giudiziari reggini. Giglio e Lampada, forse commentando le performance sessuali delle prostitute straniere, fanno un riferimento a Giglio e alla possibilità di invitarlo a Milano, affinché si trovasse a tu per tu con le donne che Lampada avrebbe procacciato a Giusti: “L’idea di portarci il Presidente a Milano non è male, sai?!… Lo vorrei vedere di fronte ad una stroccona!!”.