di Stefano Perri – Lo loro era una perfetta azienda di import-export. Una macchina da soldi. Tutto era calcolato nei minimi dettagli. Fornitori, dipendenti, corrieri. Compravano e vendevano. E guadagnavano, tanto. Centinaia di migliaia di euro. Al centro del loro business c’era la neve bianca che inondava l’Umbria, la cocaina. Il mercato di riferimento, all’interno del quale evidentemente il consumo non mancava, era la città di Perugia.
E cosi ogni due settimane erano sette, otto, dieci chili di polverina magica che arrivavano su dalla Calabria, da Cirò, in provincia di Crotone, dove il gruppo criminale teneva salde le sue radici. Gli inconsapevoli corrieri erano i bus di autolinee private, da Rossano a Perugia, all’interno dei quali venivano posizionati i trolley carichi di coca, confusi tra quelli degli altri passeggeri, che venivano poi ritirati alla stazione autobus di piazza Partigiani della Cerminara a Perugia.
A capo della squadra dei calabresi che comandavano lo spaccio nella città della cioccolata c’era Giuseppe Affatato, originario di Ciro Marina, considerato dagli inquirenti il promotore dell’organizzazione. Era lui ad ordinare i carichi e predisporre le spedizioni. La sua abitazione tra Ponte Pattoli e Ponte Resina era stata trasformata in un vero proprio magazzino laboratorio. La droga arrivava, veniva spacchettata, pesata, divisa e confezionata a ”palline” o ”ovetti kinder” e subito consegnata agli spacciatori al dettaglio che andavano e venivano quasi quotidianamente.
Ad affiancarlo nel business della coca, secondo la ricostruzione degli inquirenti, c’erano i cugini Antonio e Gregorio Procopio, originari del catanzarese ed entrambi residenti a Perugia. Erano loro a ritirare i trolley alla stazione per trasportarli a casa di Affatato, spacchettarli e ricevere gli spacciatori. Con loro anche Tiziana Cerminara ed il marito Angelo Carè, tra i pochissimi non calabresi al vertice del gruppo criminale, entrambi partecipi all’organizzazione e spesso presenti durante le operazioni di compravendita.
Più saltuaria invece la presenza di Saverio Salvatore Petrozza e Pasquale Di Molfetta. Anche loro partecipi in qualche occasione, il loro ruolo era quello di corrieri della coca, avevano il compito di consegnare una parte della cocaina giunta dalla Calabria a non meglio identificati componenti della famiglia ”Bevilacqua di Santa Maria”.
Al resto del gruppo invece era relegato il lavoro sporco, lo spaccio al dettaglio. Diego Mangialasche e Marouen Raouahi, conosciuto dal gruppo con il nomignolo di Kriss, si preoccupavano di portare all’esterno lo stupefacente. Tra gli spacciatori anche l’albanese Toni Dedej, che lavorava presso l’officina di Mangialasche, i fratelli perugini Fortunato e Pierluigi Cucci, titolari dell’esercizio commerciale ”I Lupi”, i fratelli Flavio e Guido D’Alfonsi, che si recavano in moto a ritirare i panetti di coca, conosciuti dai Procopio ma non graditi ad Affatato, e Lulzim Resuli e Adelusa Ichim, coppia di stranieri indicati come acquirenti della cocaina. In totale sono venti i soggetti raggiunti dalle ordinanze di custodia cautelare nell’ambito delle inchieste Trolley e Sotto Traccia.
Un piccolo esercito di compratori e venditori, molto spesso anche consumatori, dei quali faceva parte anche Roberto Provenzano, il muratore 37enne originario di Maida, in provincia di Catanzaro, ucciso da un colpo di pistola alla tempia la notte tra il 28 e il 29 maggio del 2005 nel bagno della sua abitazione nella periferia di Perugia. Con Provenzano qualcosa era andato storto. Probabilmente un carico non pagato, una somma non restituita, che gli sono costati la vita. Ad accertarlo adesso, riportando alla luce il complesso sistema di compravendita di stupefacenti messo in piedi dal gruppo criminale, saranno le risultanze processuali. Per il gruppo dei calabresi che comandavano Perugia si sono aperte oggi le porte del carcere.
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