Un documento, scritto dai vescovi calabresi, “non contro qualcuno – come sottolinea il presidente della Cec monsignor Salvatore Nunnari – ma per annunciare la Verità eterna del Vangelo di Gesù Cristo”. Ma che allo stesso momento diventa “una spada affilata e trafigge chi si pone in una situazione opposta al Vangelo. Ed è qui che si radica il discorso sulla ’ndrangheta. Chi ne fa parte non solo tradisce il Vangelo, ma è come se vivesse calpestandolo ogni giorno”. Premessa indispensabile per andare e vedere meglio il contenuto della nota pastorale formata da quattro distinte tematiche (La Chiesa esperta in umanità; la Chiesa dinanzi al doloroso male della ndrangheta; la Chiesa e le istituzioni dello Stato; Messaggio di speranza ed invito alla conversione), ed in particolare la seconda, quella che riguarda la ndrangheta, in cui i vescovi, secondo la breve sintesi di monsignor Nunnari, “fanno riecheggiare l’eco di alcune parole indimenticabili, quali quelle di Papa Wojtyla ad Agrigento e quelle di papa Bergoglio a Sibari; ma ricordiamo anche tante prese di posizione lungo questi ultimi 70 anni dell’ episcopato calabrese”. Un documento in cui, secondo le intenzioni dei vescovi, si presenta “il volto reale della mafia e della ’ndrangheta, senza mezze parole, ma con una chiarezza estrema, che va alla radice di questo fenomeno aberrante, che è in tutta evidenza opera del Maligno. Un fenomeno, che è insieme l’antistato, con le forme di dipendenza, che crea nei paesi e nelle città, e l’anti-religione, con i simbolismi e gli atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. La conclusione – scrive nella sua breve sintesi il presidente della Cec – non può essere che una: chi fa parte della mafia – anche se non ha ricevuto una scomunica scritta – si pone automaticamente fuori dalla comunione ecclesiale”. “La ndrangheta – si legge tra l’altro nel documento – non ha nulla di cristiano. È altro dal cristianesimo, dalla Chiesa. Non è solo un’organizzazione criminale che, come tante altre, vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti e illegali, ma – attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro – si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio. L’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. L’incompatibilità non è solo con la vita religiosa, ma con l’essere umano in generale. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”. Parole che vorrebbero chiudere il cerchio delle incomprensioni, equivoci e perplessità che spesso hanno coinvolto, in generale, la Chiesa. Ma è la Chiesa stessa che, attraverso il documento, sottolinea le due differenti realtà. “Per inquadrare bene la realtà della Chiesa e della ‘ndrangheta, è perciò, ancora una volta, necessario richiamare – si legge ancora nella nota pastorale – le rispettive nature e finalità: sono due realtà incommensurabilmente tra loro lontane; e su ciò si fonda l’abissale differenza tra una comunità, la nostra, fondata sull’amore di Dio e del prossimo, rispetto all’altra, costruita sulla minaccia e sulla paura, su una falsa fede e una distorta religiosità, su aggregazioni di odio e di sangue contro chi viene considerato nemico giurato e perciò da eliminare anche fisicamente”. “La ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale fra le più pericolose e violente – sottolineano tra l’altro i vescovi calabresi – essa si poggia su legami familiari, che rendono più solidi sia l’omertà, sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali (si pensi alla figura dei “padrini”), i boss cercano di garantirsi obbedienza, coperture e fedeltà. La ‘ndrangheta – lì dove attecchisce e prospera – svolge un profondo condizionamento della vita sociale, politica e imprenditoriale nella nostra terra. Con la forza del denaro e delle armi, esercita il suo potere e, come una piovra, stende i suoi tentacoli dove può, con affari illeciti, riciclando denaro, schiavizzando le persone, ritagliandosi spazi di potere. È l’antistato, con le sue forme di dipendenza, che essa crea nei paesi e nelle città. È l’anti-religione, insomma, con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. È una struttura pubblica di peccato, perché stritola i suoi figli. È contro la vita dell’uomo e contro la sua terra. E’, in tutta evidenza, opera del male e del Maligno”.
do.gri.